Ognuno di noi è stato creato in
modo
diverso, con una propria identità e una propria individualità che lo fa essere
speciale ed unico, agli occhi di Dio.
Nel salmo 139 v. 13 e 14 è scritto
“ poiché sei
tu che hai formato le mie
reni,
che mi hai intessuto nel seno di mia madre,
io ti celebrerò perché sono stato fatto in modo meraviglioso,
stupendo, meravigliose sono le tue opere
e l’anima mia lo sa molto bene...”
Ma purtroppo, dal punto di vista
umano non siamo altrettanto speciali gli uni per gli altri, al
contrario, quando incontriamo una persona che non corrisponde alle
nostre caratteristiche, al
nostro modo di vedere e di pensare rimaniamo
confusi, disorientati portati di conseguenza,
ad emarginare e ad allontanare la
persona “strana” particolare, con
un modo così diverso da noi di vedere, di pensare e di sentire le
cose, senza renderci conto,
che il nostro comportamento
crea sofferenza e disagio in quella persona.
Come credenti, avendo una nuova natura in Cristo (2 Corinzi 5:17) dovremmo avere anche una sensibilità rinnovata, più forte e più matura, nel capire e nel valutare le necessità degli altri; invece il più delle volte non solo non capiamo ma non rispettiamo neppure minimamente l’individualità e la sensibilità delle persone che ci stanno accanto.
Come spesso accade vediamo la sofferenza e il disagio “degli altri” con troppa superficialità, minimizzando e semplifichiamo tutto ciò che non ci riguarda personalmente; la totale mancanza di delicatezza che spesso manifestiamo gli uni verso gli altri a volte mi spaventa.
La sensibilità non può essere generalizzata, ma deve
essere personalizzata in base alla
nostra sensibilità individuale. Infatti, non tutti dal punto di vista
fisico sopportiamo il dolore allo stesso modo: c’è chi va a lavorare con la febbre a 39°; c’è chi
invece si sente completamente distrutto, quando il termometro tocca
appena i 37 gradi; c’è chi
sviene alla vista del sangue;
c’è chi
mantiene un
controllo freddo e distaccato, davanti alle situazioni più gravi.
Dal punto di vista emotivo accade un po' la stessa cosa e proprio per questo, chi è più sensibile è più esposto al dolore.
Dolore significa “sensazione spiacevole per effetto
di un male corporeo, ma anche sentimento di profonda infelicità dovuto
all’ insoddisfazione di bisogni personali; afflizione e
costernazione.” Sentimenti che tutti, essendo esseri umani, proviamo più
o meno intensamente
nel corso della nostra vita.
Ma molto spesso, non abbiamo il coraggio di
ammetterlo perché siamo
troppo impegnati a difendere, ciò che “gli altri
devono vedere” e ciò che gli altri riescono a vedere è quasi
sempre il contrario di ciò che siamo; cerchiamo di coprire accuratamente le nostre fragilità e la nostra vulnerabilità, dimenticando che
la fragilità e la debolezza fanno parte dell’essere umano e se
usate nel giusto modo possono diventare
una ricchezza reciproca.
E’ proprio nella nostra debolezza e nella nostra fragilità che si manifesta la potenza di Dio.
In 2 Corinzi cap.12:9-10 è scritto:
“... perciò,
molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze,
onde la potenza di Cristo riposi su di me ...
perché quando io sono debole ,allora sono forte”
L’importante è riconoscere sinceramente i nostri limiti, le nostre fragilità e le nostre debolezze davanti a Dio, senza cercare di mettere una maschera, perché le maschere non migliorano il problema ma lo aggravano.
Mascherare i nostri sentimenti, le nostre
fragilità, le nostre paure
può farci diventare forse,
migliori agli occhi dell’uomo, ma certamente non ci rende migliori
davanti a Dio.
E’ chiaro, quindi che la sofferenza che procura dolore può essere non solo fisica,
ma anche emotiva e non
tutti soffriamo con la stessa intensità, con la stessa
partecipazione verso le
situazioni o i problemi di cui veniamo a conoscenza.
Spesso, quando ci troviamo a dover affrontare questo tipo di sofferenza particolare siamo impreparati.
Davanti ad una persona che soffre emotivamente
per conflitti interiori, morali, spirituali o sta attraversando un periodo
di depressione, motivato od immotivato, tendiamo a
semplificare e a minimizzare
ogni cosa; con crudele superficialità a volte diciamo... “pensa a quelle persone, loro si che soffrono
davvero … non tu” Pensando a torto che la sofferenza reale sia
soltanto fisica.
Ovviamente, il dolore
rimane dolore ma è strettamente legato alla sopportazione individuale di
ognuno di noi, nonché alla nostra sensibilità.
Certamente, ci sono e ci saranno sempre persone che soffrono più di noi, ma nel momento della “nostra” sofferenza tutti noi soffriamo e anche la nostra sofferenza, come quella degli altri va rispettata.
Non di rado purtroppo, ci sono credenti che per un difetto di interpretazione della vita cristiana, pensano che chi
soffre di questo tipo di problemi non
abbia un buon rapporto
con Dio, ma non sempre così
né così. Si può essere lontanissimi da Dio
senza soffrire minimamente, ed essere invece in uno stretto rapporto con Dio pur
soffrendo.
Molto spesso, dimentichiamo che a volte è proprio la sofferenza che ci avvicina di più a Dio. Nella Scrittura ci sono tantissimi esempi di uomini che amavano sinceramente il Signore, ma che soffrivano ugualmente di questa sofferenza interiore profonda. Mi limiterò a portare soltanto pochi esempi.
Cominciando dai salmi,
vediamo Davide
“un
uomo secondo il cuore di Dio”
che
descrive la propria sofferenza interiore in modo così intenso, profondo
e vissuto che deve far riflettere
chi
è scettico ed insensibile, pronto a sentenziare, emettendo giudizi il più delle
volte errati.
Nel salmo 102:4-9 Davide si esprime in questo modo:
“colpito è il mio cuore come l’erba è seccato;
perché ho dimenticato perfino di mangiare il mio pane...
poiché io mangio cenere come fosse pane,
e mescolo con lacrime la mia bevanda..."
E ancora nel salmo 6:3-7:
"L’anima mia è tutta tremante...
io sono esausto a forza di gemere;
allago di pianto il mio letto
e bagno delle mie lacrime il mio giaciglio,
l’occhio mio si consuma dal
dolore e invecchia...”
E ancora nel salmo 77:3-5 Asaf si esprime così:
“Io mi ricordo di Dio e gemo;
medito e il mio spirito è abbattuto,
tu tieni desti gli occhi miei,
sono turbato e non posso parlare...
ripenso ai giorni antichi agli anni da lungo passati.”
Di Elia
ci viene detto, in Giacomo 5:17-18, che nonostante la sua fede
“pregando ardentemente che non piovesse
e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi,
poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia
e la terra produsse il suo frutto”
Scopriamo così che, nonostante la vittoria sui profeti di Baal (1 Re 18:40) preso da scoraggiamento, la paura prende il sopravvento. E al cap. 19:3-4 vediamo che Elia
"S'inoltrò nel deserto una giornata di cammino,
andò a mettersi seduto sotto una ginestra,
ed espresse il desiderio di morire, dicendo:
«Basta! Prendi la mia vita, o SIGNORE,
poiché io non valgo più dei miei
padri!»”
Non è forse un momento di umana disperazione
e
solitudine
profonda che può portare
una persona a desiderare di morire?
Un altro esempio di sofferenza interiore è Anna.
In 1 Samuele 1:10
vediamo che Anna
“aveva il cuore pieno di marezza e pregò l’Eterno piangendo dirottamente.”
Ai v. 15 e 16 si esprime in questo modo:
“io sono una donna tribolata nello spirito e non ho bevuto ne vino ne bevanda alcolica,
ma stavo spandendo la mia anima dinanzi all’Eterno...
l’eccesso della mia tristezza mi ha fatto parlare fino adesso...”
Anna era una donna sterile e viveva la sua sterilità con una sofferenza
intensa, profonda (questa
era la
sua sofferenza).
Non
tutte le donne vivevano e vivono
tuttora la
loro sterilità allo stesso modo di Anna: c’è chi l’accetta quasi con serenità. Ma per Anna non era così. Al
v. 8 vediamo che
neppure le parole
affettuose del marito Elkana, che cercava di rassicurarla dicendogli “Anna, perché piangi, perché non mangi, perché è triste il cuore tuo?
non ti valgo io più di dieci figlioli...?" riescono ad attenuare il dolore di
Anna.
E’ bellissimo però, vedere le stesse persone che si lamentano, soffrono e vivono le cose in modo così intenso (come capita a chi è più sensibile), amare sinceramente il Signore ed innalzare a Dio inni di ringraziamento, di lode e di riconoscenza. Non è un caso, che nella Scrittura troviamo questi canti di lode quasi sempre, dopo un travaglio e una sofferenza interiore profonda.
Come dicevo, questi stati d’animo
di
sofferenza, di tristezza interiore, di turbamento, di avvilimento e di abbattimento sono stati d’animo che qualsiasi uomo o donna può provare nel
corso della propria vita.
La sofferenza, sia
dal punto di vista fisico, emotivo o
spirituale è soggettiva, personale, ed aumenta in
base alla nostra sensibilità.
Più siamo sensibili, più saremo predisposti alla sofferenza, perché ogni piccola
cosa di cui veniamo a conoscenza, che riguarda noi o gli altri ci farà soffrire
maggiormente. Essere sensibili significa sentire in modo particolarmente
intenso determinate situazioni emotive, ambientali
e avere
allo stesso
tempo una predisposizione particolare a sentire
vivamente le emozioni,
i sentimenti e gli affetti.
Al contrario, la
persona superficiale sente, vede e vive le cose in superficie, non approfondisce, non analizza, non si pone troppi
interrogativi, ma si ferma (il più delle volte per comodità) davanti
all’esteriorità delle cose. E per questa ragione sarà meno esposto alla sofferenza.
Chi è sensibile, non può essere superficiale, al
contrario sarà estremamente introspettivo, tenderà ad approfondire e ad
esaminare attentamente ogni cosa, cercando di capire profondamente sé
stesso e gli altri immedesimandosi, facendo proprio il problema e il
dolore altrui, soffrendo a sua volta, dello stesso dolore.
Dobbiamo fare
attenzione a non
confondere la fragilità con la sensibilità; molto spesso fragilità
diventa sinonimo di
sensibilità, ma non è affatto così. La differenza è sottile ma
sostanziale.
Fragile è un aggettivo che può essere riferito anche ad una persona debole, di scarsa consistenza e di valori morali, facile nel cadere nei vizi e nella tentazione.
Si può essere umanamente fragili, deboli, ma anche sensibili al dolore altrui, e questo è sinonimo di ricchezza spirituale.
Ma si può anche essere fragili ed estremamente insensibili, vuoti ed egoisti allo stesso tempo.
La sensibilità, per quanto riguarda la predisposizione ad aiutare e a partecipare alla sofferenza altrui contiene in sé una grande ricchezza: se usata nel modo voluto da Dio può diventare una benedizione per noi stessi e per gli altri.
In Proverbi 21:1 è scritto:
“Il cuore del re, nella mano dell’Eterno
è come un corso d’acqua,
Egli lo volge dovunque gli piace.”
Ma questo cuore deve essere
duttile nelle mani di Dio, in ogni circostanza,
lasciandosi guidare soltanto dalla Sua mano!
Si, se vogliamo essere utili nelle mani di Dio, dobbiamo lasciarci guidare e dirigere proprio come un corso d’acqua che inonda e penetra ogni cosa, riempiendo spazi vuoti e aridi.
Il Signore deve poter dirigere i nostri
pensieri, le nostre
emozioni, le nostre fragilità e la nostra sensibilità, come meglio
desidera e noi, proprio come l’acqua, dobbiamo seguirLo con la stessa
fluidità e la stessa continuità.
La
nostra sensibilità
individuale, come tutto ciò che ci caratterizza come individui, per
essere qualcosa di benefico, deve essere usata con il solo ed unico
scopo di glorificare Dio:
soltanto in questo modo potrà essere totalmente e
meravigliosamente produttiva, al contrario rimarrà soltanto un bel
gesto, ma completamente vuoto... fine a se stesso.
La sensibilità che viene da Dio, non si ferma e non
cambia in base alle circostanze e alle situazioni, non ragiona sui pro e
sui contro, ma si dirige verso il cuore degli altri donando. Questo a volte può costare...
perché la sensibilità deve essere gestita dall'amore di Dio... e
deve
donare senza chiedere
nulla. (1 Corinzi 13
Non dimentichiamo che
il cuore dell’uomo senza Dio, per quanto sensibile e
altruista, è sempre
"ingannevole ed insanabilmente malvagio”
(Geremia
17:9).
Per questo è importante esaminare noi stessi
profondamente per capire, la vera motivazione del nostro “altruismo”, se
di altruismo si tratta, e vedere se nel nostro dare, c’è
il desiderio nascosto di ricevere di più!
“Investigami o Dio
e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri.
E vedi se vi è in me qualche via iniqua
e guidami per la via della giustizia.”
Che il Signore ci aiuti ad essere davvero, dei corsi d’acqua che si dirigono verso il cuore degli altri, senza calcoli ed interessi personali... ricordando che questi corsi d’acqua potranno fluire bene soltanto se noi rimaniamo strettamente uniti alla Sorgente, cioè Gesù Cristo.
Damaris