A Caleb, figlio di Gefunne, Giosuè diede una parte in mezzo ai figli di Giuda, come il SIGNORE gli aveva comandato, cioè: la città di Arba, padre di Anac, la quale è Ebron.

E Caleb ne scacciò i tre figli di Anac: Sesai, Aiman e Talmai, discendenti di Anac.

Di là salì contro gli abitanti di Debir, che prima si chiamava Chiriat-Sefer.

E Caleb disse: «A chi batterà Chiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie mia figlia Acsa».

Allora Otniel figlio di Chenaz, fratello di Caleb, la conquistò,
e Caleb gli diede in moglie sua figlia Acsa.

E quando lei venne a star con lui,
persuase Otniel a lasciarle chiedere un campo a Caleb, suo padre.
Lei smontò dall'asino, e Caleb le disse: «Che vuoi?» Quella rispose:
«Fammi un dono; poiché tu m'hai stabilita in una terra arida, dammi anche delle sorgenti d'acqua». Ed egli le diede le sorgenti superiori e le sorgenti sottostanti.

Questa è l'eredità della tribù dei figli di Giuda, secondo le loro famiglie.

Giosuè 15 :13 - 20

 

I temi

 1.      Il padre, Caleb

La fede di una spia

La pazienza di una vita nel deserto

Il combattimento con i giganti nella terza età

 2.      Il marito, Otniel

Essere valoroso per conquistare una moglie

Combattere per liberare un popolo oppresso e decaduto

Combattere: perchè 

3.      Acsa nel matrimonio

Quale eredità

Audacia nella preghiera

Esaurimento e benedizioni

 

Prima di conoscere meglio Acsa occorre conoscere la sua famiglia, dove e in quale contesto è vissuta.

 

1. Il padre, Caleb

La fede di una spia

 Il significato del nome “Caleb” è uomo di cuore, forte e virtuoso.

Caleb è un uomo della tribù di Giuda che rientra tra gli eroi della fede.

Era nato durante la schiavitù in Egitto ed ha assistito alle opere potenti compiute da Dio al momento della fuga e del passaggio del Mar Rosso.

E’ amico e compagno di Giosuè, uno dei principi del popolo d’Israele: insieme ad altri 10 vengono inviati da Mosè per esplorare la terra di Canaan, la terra promessa, per 40 giorni, all’indomani dell’uscita del popolo dall’Egitto. (Numeri 13 - 14[1]; Deuteronomio 1:19-28[2]).

A quell’epoca Caleb aveva 40 anni (Giosuè 14:7[3]).

Tornando dall’esplorazione, quando le altre 10 spie screditarono il paese seminando panico, dubbio e ribellione, solo Caleb e Giosuè cercarono di calmare il popolo illustrando quanto fosse buono il luogo promesso da Dio e tentarono di riportare l’attenzione di tutti su Dio e sulla Sua mano. Purtroppo, Israele non dette retta e, come conseguenza:

-         il popolo vagherà per 40 anni ramingo nel Sinai;

-         parte del popolo non entrerà nella terra promessa;

-         la generazione uscita dall’Egitto morirà nel deserto (coloro che avevano dai 20 anni in su);

-         i 10 compagni di Caleb e Giosuè muoiono immediatamente colpiti dal Signore attraverso una piaga, per aver portato il popolo a mormorare e spinto alla malvagità;

Si salvano perciò solo Caleb e Giosuè e la generazione con meno di 20 anni.

In questa occasione Dio definì Caleb: “Il mio servo… mi ha seguito pienamente.” (Numeri 14:24).

Quale onore e privilegio essere chiamato “servo di Dio”!

Quale gioia sentire che Dio approva “pienamente” le proprie azioni e parole.

Ma Caleb era un uomo che non teme di sfidare un popolo e dei compagni di viaggio… di essere la minoranza, pur di ubbidire al Signore.

Caleb è audace e l’audacia è una caratteristica preziosa della fede.

Dio accompagna l’elogio di Caleb con una splendida premessa: “perciò io lo farò entrare nel paese nel quale è andato; e la sua discendenza lo possederà” (Numeri 14:24).

Proprio a questa discendenza appartiene Acsa.

 

 

La pazienza di una vita nel deserto

 La fede di Caleb ha dovuto essere messa alla prova, senza lamentarsi, per ben 45 anni… giorno dopo giorno, ha vagato insieme ad un popolo intorno nel deserto; nutrirsi di manna e di quaglie quando avevano visto tanti ricchi succulenti cibi a portata di mano. E’ stata una lunga prova quella di Caleb e di Giosuè: portare la pena dell’attesa dell’esecuzione del giudizio di Dio su un popolo ribelle, restando fedeli, senza amarezza o risentimento, attendendo pazientemente il momento della realizzazione delle promesse di Dio.

E Caleb ne ha viste parecchie: la morte immediata dei suoi 10 compagni, della generazione sua contemporanea, il passaggio miracoloso del fiume Giordano, la presa di Gerico, ecc.

La Bibbia tace su cos’abbia fatto Caleb per tutti quegli anni, sicuramente è stato fedele e paziente, fino a quando è venuto di nuovo il tempo di partecipare al combattimento necessario per conquistare la terra promessa.

“Mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio;

non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza.

Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.” (Romani 5:2-5)

 

 

Il combattimento con i giganti per conquistare l’eredità promessa

Caleb ha combattuto al fianco di Giosuè e gli viene assegnato da Dio un territorio preciso in mezzo alla tribù di Giuda. In particolare, gli viene destinata la città di Arba, ossia Ebron.[4]

E sapete quale città visitò Caleb come spia oltre 45 anni prima: proprio Ebron.

Mosè mandò i suoi uomini fino al torrente Escol, da dove portarono i campioni dei magnifici frutti del paese di Canaan. Ma non è come si potrebbe pensare che Escol ha accattivato gli occhi e il cuore di Caleb; la sua fede gli ha fatto trovare qualche cosa di migliore: Ebron, dove ha messo piede. E ciò gli è concesso.

La città costruita nel 1730 a.C., è il luogo in cui venne sepolta Sara ed i patriarchi. Il nome di questa città significa: “luogo della morte”.

Era la patria degli Anachiti, una tribù di giganti (Numeri 13:33, Deuteronomio 9:2).

Questa città fu la capitale durante i primi 7 anni di regno di Giuda sotto il re Davide.

Questa città che aveva spaventato tanto le 10 spie ed il popolo, diventa l’eredità di un eroe della fede e, successivamente, la capitale del popolo di Dio.

Caleb dimostrò il suo valore nella conquista di Ebron. Dopo che quasi tutto il territorio era sottoposto ad Israele, che tutte le tribù avevano trovato la loro collocazione conquistandola sotto la guida di Caleb, anche Caleb rivendica la sua parte… la città dei giganti.

Sono davvero suggestivi i nomi dei giganti che abitavano Ebron:

-         Aimal, che può essere tradotto con “fratello dell’uomo”;

-         Sesai, che vuol dire “libero”;

-         Talmai, che significa “fiducia in se stesso”.

Dipingono proprio le caratteristiche che Satana vuol imprimere negli uomini: siamo tutti “fratelli” apparentemente, falsa libertà, fiducia nelle nostre forze e, possibilmente, non in Dio.

Caleb, invece, fin da giovane, credeva di poter vincere grazie alla presenza di Dio nella sua vita; e questa fiducia non lo deluse, ma Dio rispose alle sue aspettative.

Oltre ad essere audace ed un uomo di fede, Caleb è un esempio di perseveranza nell’attesa delle promesse.

Caleb incita altri alla conquista della terra promessa, dell’eredità stabilita da Dio.

 

Voi dunque passerete il Giordano e abiterete il paese

che il SIGNORE, il vostro Dio, vi dà in eredità;

avrete pace da tutti i vostri nemici che vi circondano e vivrete nella sicurezza.

Deuteronomio 12:10

 

 A 40 anni con Giosuè ha incitato un popolo che, per la paura, preferiva ritornare in Egitto invece di avviarsi verso la terra promessa. Ha cercato di riportarlo, senza successo, a contare sulla potenza e la forza di Dio.

A 85 anni pensa a dare l’esempio ad i giovani e esortandoli a combattere con fede e a conquistare ciò che Dio ha promesso loro.

Caleb è circondato da soli giovani (salvo Giosuè): tutti hanno almeno 20 anni meno di lui.

Ma come esorta i giovani? Lanciando loro una sfida. Caleb conosceva i giovani e quanto siano stimolati dalle competizioni.

E Caleb disse: «A chi batterà Chiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie mia figlia Acsa». (Giosuè 15:16).

La città oggetto della sfida e da conquistare è Chiriat-Sefer o Chiriat-Sanna, anche detta Debir (v. 41).

Si tratta della “città di un libro”, “la città dell’intendimento” o “città degli scritti”.

Molti hanno pensato che sia stata l’università dei Cananei, come Atene per i Greci, dove venivano educati i giovani. O forse, in questo luogo, vi si trovavano i libri con le cronache della nazione, una sorta di archivio di stato. Certo è che Caleb esorta i giovani ad apprendere il valore della fede, patrimonio della nazione d’Israele, proprio in una città dove si studiava tutt’altro tipo di insegnamento. L’istruzione impartita da Caleb passa attraverso il combattimento che si basa sulla fede. La fede produce la dimostrazione di ciò che rimane inaccessibile alla ragione e ai sensi. Essa riposa sulle dichiarazioni della Bibbia, sulla onnipotenza di Dio, sulla sua fedeltà. Essa è il solo mezzo per poter essere graditi a Dio e per ottenere le sue benedizioni.

Lo scopo della fede dei giovani sfidati da Caleb è avere in moglie la figlia stessa di Caleb. Si trattava sicuramente di qualcosa di molto caro per Caleb. E, oltretutto, doveva essere sicuramente un onore imparentarsi con questo principe d’Israele ed avere come compagna una giovane educata da un padre valoroso, un servo del Signore.

Anche noi siamo chiamati al combattimento e a spingere i nostri giovani al combattimento.

Come Giosuè e Caleb combattono per prendere possesso della loro eredità, così anche noi siamo chiamati a prendere possesso dell’eredità riservataci da Cristo Gesù.

 

 

  1. Il marito, Otniel

     Essere valoroso per conquistare una moglie

Per la figlia Acsa, Claeb vuole il meglio… non un rammollito, non un lamentoso, ma:

-         un ragazzo dotto, che avrebbe avuto particolare affezione per la città dei libri;

-         un uomo di guerra che avrebbe servito il suo paese e la sua generazione, con esempio di coraggio e di fede.

Abbiamo visto come solo Caleb con Giosuè abbiano fatto fronte all’incredulità, alla paura e alla ribellione del popolo di Dio ed insieme vedono il giudizio  di Dio su una intera generazione.

Caleb termina l’era dei conquistatori della terra promessa e viene all’orizzonte un altro eroe della fede: Otniel, che nonostante il degrado morale, la disubbidienza del popolo, rimane fedele a Dio e combatte per liberarlo dal giudizio di Dio.

Alla proposta di Caleb risponde un nipote, il figlio del fratello cadetto di Caleb: Otniel.

Il significato del suo nome è “Dio è potente”, oppure “la mia forza è Dio”.

Pur appartenendo ad un ramo cadetto della famiglia, questo giovane ha tutte le caratteristiche per essere un buon partito: non è detto che fosse ricco, ma era provvisto di coraggio, di fede nella potenza di Dio.

Si getta alla conquista della città, che diviene a pieno titolo territorio della tribù di Giuda.

Otniel si distingue in gioventù ed in seguito ebbe l’onore di diventare

-         un liberatore

-         un giudice d’Israele, il primo dopo la morte di Giosuè[5].

 

 Combattere per liberare un popolo oppresso e decaduto

 Alla morte di Giosuè il popolo invece di proseguire nella conquista delle parti del paese ancora in possesso dei Cananei, sposarono le loro figlie ed i loro figli… proprio di quei popoli che Dio aveva ordinato di distruggere perché idolatri e votati all’occultismo.

Israele convive con queste persone; fa sposare i figli e… arriva a servire i loro dei: Baal ed Astarte.

Mentre Caleb si è dato da fare per dare la propria figlia ad un valoroso uomo di Dio, gli altri non ne seguono l’esempio e fanno ciò che è male agli occhi di Dio.

Allora Dio deve intervenire duramente ancora una volta. L’Eterno si serve anche del male per portare i suoi al ravvedimento e a nuove benedizioni! Al tempo dei giudici si serve dell’oppressione dei nemici, del tutto meritata, per produrre un risveglio nella corruzione.

Israele viene dato nelle mani di Cusman - Rismmathaim per ben 8 anni. Questi era un re babilonese. Il suo nome significa “doppia malvagità”. Non sappiamo altro di questo re, solo che è uno strumento di Dio per risvegliare il suo popolo.

A questo punto interviene Otniel, che dopo aver combattuto per avere una moglie, è all’opera più tardi per combattere per altri. Si mette alla testa del popolo e l’Eterno dà il re babilonese nella sua mano.

Avviene sempre così.

Perché un cristiano diventi uno strumento pubblico, deve prima aver fatto dei progressi nella conoscenza del Signore e nella potenza dei suoi privilegi.

Se siamo poco adoperati nel servizio, generalmente è perché i nostri cuori non sono occupati dalle cose celesti.

Le ricchezze morali che Otniel ha acquistato si manifestano ben presto nel suo cammino:

1. lo spirito dell’Eterno, la potenza di Dio per liberare Israele, fu sopra di lui;

2. uscì alla guerra e fu attivo nel combattimento;

3. l’Eterno gli diede nelle mani il re di Mesopotamia e fu vittorioso;

4. guidò Israele e il governo gli fu affidato.

 

Preparato in anticipo dall’esortazione di Caleb al combattimento, fu un utile strumento nelle mani di Dio per la liberazione e nel governo del suo popolo. Quando il popolo si dà all’idolatria, Otniel rimane fedele all’Eterno.

 

Combattere: perché?

 Ciò che colpisce di Caleb e di Otniel è l’impegno al combattimento.

La Parola di Dio parla sovente del combattimento. E troviamo il concetto del combattimento e della guerra anche nel Nuovo Testamento.

 

“Combatti il buon combattimento della fede,

afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato” 

1Timoteo 6:12

Paolo incoraggia Timoteo a continuare a combattere il buon combattimento, attraverso un’azione costante anche se la vittoria finale è stata riportata da Cristo sulla croce (Col. 2:5).

Ecco qualche esempio personale di combattimento: il combattimento interiore, edonismo, pensieri, legalismo, presunzione, orgoglio, contro la carne, suicidio, impulsività, disordine sessuale

 

Il libro di Giosuè, di cui abbiamo letto dei passi, ci presenta,in modo figurato, il soggetto dell’epistola agli Efesini, nel Nuovo Testamento: è giunta al termine la traversata del deserto e bisognava che l’assemblea d’Israele prendesse possesso del paese della promessa, spodestando i nemici che l’abitavano.

La stessa cosa vale per noi. I luoghi celesti sono la nostra Canaan; vi entriamo nella potenza dello Spirito Santo che ci unisce a Cristo morto e risorto, e ci fa sedere in Lui nel cielo godendo in anticipo di quella gloria che Egli si è acquistata e nella quale vuole introdurci. Ma al presente, dobbiamo impegnare il combattimento della fede contro gli spiriti maligni che sono nei luoghi celesti per appropriarci di ogni palmo di terreno che Dio ci ha dato in eredità. 

La grazia di Dio non consiste nel preservarci dagli attacchi di Satana, dal mondo e dalla carne, dalle cattive circostanze o dai turbamenti causati dal nostro carattere mancante, ma piuttosto a sottoporci per realizzare la nostra incompetenza, che ci spinge ad attaccarci a Dio con maggiore fermezza.

Se stiamo sempre a galla, non saremmo portati a dipendere da Dio più saldamente. Dio ha fatto in modo che i nostri peccati e le nostre mancanze siano una disciplina educatrice per insegnarci a confidare in Lui soltanto e non nelle nostre capacità, come saremmo portati a fare.

 

  1. Acsa nel matrimonio

 

 Quale eredità

Il racconto di come Acsa arriva al matrimonio è riportato per ben due volte nella Scrittura: Giosuè 15:13-19 e Giudici 1:10-15.

La Bibbia narra, come abbiamo visto, il modo in cui Otniel ottiene la mano di Acsa, attraverso  la vittoria su una città e la sconfitta dei nemici di Israele. La conquista della città costituiva però la rinuncia da parte della famiglia della ragazza all’abituale dono del marito per i parenti.

Ma Acsa vive proprio al momento in cui Canaan, la terra promessa,viene spartita tra i figli d’Israele: ne ha visto in parte la conquista ed ora, in casa, sicuramente avrà sentito parlare del gran impegno di Giosuè e di Caleb nell’assegnare i diversi lotti di terreno. Probabilmente avrà sentito i discorsi, le discussioni, le liti che infervoravano il popolo. Non succede così ancora ai nostri giorni quando ci sono temi scottanti nella chiesa locale? Tutti vengono coinvolti nelle riflessioni.

Qui c’era di mezzo il futuro delle diverse tribù e delle varie famiglie: tutti facevano riferimento a diritti acquisiti da promesse fatte fin dai tempi di Giacobbe sul letto di morte (Genesi 47 – 50).

Leggendo il libro di Giosuè troviamo un’intera sezione dedicata alla spartizione del territorio, dove vengono dettagliati gli atti di proprietà delle zone distribuite. Questo è un momento culmine nella vita della giovane nazione d’Israele. Dopo secoli di schiavitù in Egitto, decenni dell’arido deserto, anni di duro combattimento in Canaan, era giunto il tempo in cui gli Israeliti potevano finalmente fermarsi stabilmente in un luogo e costruire le loro case, coltivare il suolo, ingrandire il numero delle famiglie e vivere in pace nel loro paese. Il periodo di assegnazione della terra fu sicuramente un periodo felice, in cui tutti facevano progetti e si mettevano all’opera nel costruire.

Anche Acsa è partecipe di quest’atmosfera. Per avere un marito, che sicuramente conosceva trattandosi di suo cugino, aveva dovuto attendere che Otniel conquistasse una città. Quindi sapeva direttamente cosa significassero le paure del combattimento, incertezza dell’esito della battaglia e la necessità della fede in Dio per riportare la vittoria ed ottenere l’eredità promessa.

Quando vede realizzata la conquista della città di Chiriat-Sefer, partecipando indirettamente alla presa di Canaan, vuole anche lei una parte di eredità in questa terra. Ha ben chiaro che lo scopo di tutte le battaglie alle quali ha assistito e sentito parlare avevano lo scopo di ottenere l’eredità promessa da Dio al Suo popolo. Di questa eredità desidera essere assegnataria, perché sia suo padre che suo marito hanno partecipato in pieno a questa conquista. Desidera un campo di proprietà dove stabilirsi e un’eredità ha un gran valore ai suoi occhi.

 E noi figli di Dio, chiamati al buon combattimento della fede, qual è la nostra eredità?

Dio illumini gli occhi del vostro cuore,

affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati,

qual è la ricchezza della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi,

e qual è verso di noi, che crediamo, l'immensità della sua potenza.

Efesini 1:18 – 19

L’Epistola agli Efesini riporta tutta la grandezza dell’eredità celeste alla quale siamo chiamati come figli di Dio. Nel primo capito riporta appunto i diritti di cui sono assegnatari i credenti, il cui pegno è lo Spirito Santo nei nostri cuori (Efesini 1:13-14), garanzia di un’eredità nel regno eterno di Cristo che abbraccerà tutte le cose create in cielo e in terra. In Cristo otterrà l’eredità perché regnerà con Lui; ma fin da ora possiamo gustare la redenzione dai peccati, il perdono, la ricchezza della Sua grazia e del suo amore.

Che possiamo come Acsa andare oltre la semplice vita quotidiana e non perdere di vista il volere con tutto il cuore avere parte all’eredità che Dio fin dalla fondazione del mondo ha preparato per chiunque crede in Lui.

 

 Audacia nella preghiera

 

Acsa ha la stessa fede di suo padre. Proprio come lui è molto perseverante. Come Caleb è audace, infatti incita suo marito a chiedere un campo a suo padre, quando Otniel ha già ottenuto il premio previsto per la presa della città, ma Acsa lo esorta a chiedere ancora.

Quanto abbiamo già ottenuto da nostro Padre Celeste! Ma siamo convinte che nostro Padre ha in serbo altre benedizioni per noi?

Possiamo stare anni girando e rigirando su posizioni vecchie, non progredendo spiritualmente perché non soddisfatte della posizione in cui ci troviamo. Acsa non è stata a stressarsi più di tanto, lamentandosi di essere una donna e quindi di non aver parte all’eredità che i figli maschi avevano per legge. Non si è depressa piangendo su se stessa: avendo riguardo l’autorità di suo marito (persuase Otniel a lasciarle chiedere un campo a suo padre) e rispettosa di quella del proprio padre (scese dall’asina), chiede ciò che crede di aver bisogno per finalmente anche lei fermarsi stabilmente in un luogo e costruire una casa, coltivare il suolo, ingrandire il numero della famiglia e vivere in pace nel proprio paese. Acsa non è sfrontata nelle richieste: scende dall’asino su cui è seduta e domanda.  Abbiamo coraggio anche noi di pregare altrettanto nostro Padre nel rispetto delle autorità che ha costituito su di noi?

Siamo umili e perseveranti come Acsa nella preghiera e nella supplica?

 

 

Esaurimento e benedizioni

Ma cosa chiede Acsa oltre al campo? Chiede delle sorgenti, visto che il suo campo è arido.

Si può indovinare la gioia di Caleb quando sente una tale richiesta: sua figlia riceverà più di quello che avrà domandato, ossia, le sorgenti superiori e quelle inferiori.

Anche noi davanti alla lettura quotidiana della Parola di Dio chiediamo a nostro Padre “le sorgenti dell’acqua”? Questa Parola vivente è purtroppo per molti credenti come una terra arida, nella quale l’anima non trova alcuna sostanza. La benedizione è anche alla nostra portata, basta chiedere come Acsa.

Dio, nostro Padre, come Caleb ci chiede: “Cosa vuoi?” Cosa rispondiamo noi?

Acsa può sembrare una donna avida, ma la sua è una avidità di benedizioni di Canaan.

E’ penosa invece la condizione della donna avida delle cose del mondo; Dio approva invece e prende piacere nel vedere una cristiana avida delle cose celesti.

Risponde all’avidità umana con castighi (vedi cos’è successo ad Acab al momento della presa di Gerico e Ai), invece dà e benedice oltre a quello che Gli domandiamo.

Acsa conosceva sicuramente le promesse di Dio fatte per i Suoi figli:

 

“Perché il SIGNORE, il tuo Dio, sta per farti entrare in un buon paese:

paese di corsi d'acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti."

Deuteronomio 8:7 

 

Nella Bibbia l’acqua rappresenta la Parola e lo Spirito che dona la vita. Infatti,

 

Gesù stando in piedi esclamò:

«Se qualcuno ha sete, venga a me e beva.

Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno».  Giovanni 7:37-38

 

Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita.

Apocalisse 21:6

 

Abbiamo bisogno tutte di crescere nella conoscenza profonda del ruscello che è la Parola di Dio, per essere vivificate, godere del riposo e della pace, nella santità. Allora porteremo frutto durante la gioventù, nell’età adulta e in quella avanzata.

Non accontentiamoci della terra arida, in cui c’è carestia spirituale.

Acsa aveva aspirazioni come una vera israelita: manifestava lo stesso desiderio, la stessa perseveranza ed ardore dei grandi servi dell’Eterno, quali suo padre Caleb e suo marito Otniel.

Desideriamo con ardore i doni spirituali!

Sara

 

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